Ašraf Dehqāni (1949-) è stata una militante di uno dei movimenti di guerriglia - chiamato dapprima Čherikhā-ye Fadāʾi-e Xalq e successivamente con il nome di Fadāiyān-e Xalq - che contribuirono alla rivoluzione iraniana del 1979, portando alla caduta della dinastia Pahlavi e al ritorno a Tehran dell’Ayatollah Khomeini che instaurò la Repubblica Islamica. In seguito all’arresto del fratello Behruz, il 13 maggio 1971 anche Ašraf fu arrestata e torturata. Il fratello sarebbe morto poco dopo. Grazie all’aiuto dei prigionieri Mojāhedin, il 25 marzo 1973 Ašraf riuscì a scappare dal carcere di Qasr. Dapprima in clandestinità, ha lasciato l’Iran e dato testimonianza delle sue vicende nel memoir Ḥamāse-ye moqāvemat (L’epica della resistenza). Tra le prime aderenti al movimento di guerriglia, nonché fautrice della prima scissione all’interno dei Fadāiyān dopo la rivoluzione del 1979, non rivelò mai i nomi dei suoi compagni di lotta e negli anni ‘70 diventò un simbolo politico e sociale, ma di lei non resta memoria, forse per la sua ostinazione a vivere in clandestinità. Durante le proteste del movimento Donna, vita, libertà innescate dalla morte della ventiduenne curda Mahsa Amini, Ašraf Dehqāni ha partecipato a diverse trasmissioni radiofoniche e su ClubHouse, in persiano, esprimendo il proprio dissenso in merito a un possibile ritorno dei Pahlavi sul trono del Pavone.