Intorno agli scavi del canale di Suez, avviati in territorio egiziano-ottomano nel 1859, si cre
arono nel tempo varie opportunità di impiego in campi professionali al di là del lavoro di
cantiere strettamente definito. Sulla base di fonti spesso laconiche, provenienti da archivi di
plomatici come dalla stampa dell’epoca, mi concentro sul mondo del lavoro femminile per
ricostruire alcune delle interazioni tra lavoratrici e lavoratori di provenienza disparata. Dopo
aver illustrato le possibilità di impiego che le immigrate potevano trovare nell’Egitto ottocen
tesco in generale, discuto le circostanze specifiche in cui la forza lavoro si imbatté presso i
cantieri del canale di Suez e alcune delle norme di genere che ne incanalarono gli sforzi. Sullo
sfondo, rimane una società costruita e sostenuta da migranti il cui lavoro quotidiano portava
a incontri e frizioni. L’Egitto della seconda metà dell’Ottocento non era luogo di armoniosa
coesistenza tra comunità diverse, né era uno spazio dove gruppi ermeticamente chiusi colti
vavano istituzioni autonome e lealtà distinte. Le comunità migranti lungo l’istmo di Suez non
erano né fluidamente inserite nel contesto circostante né inevitabilmente isolate da esso. Al
contempo, non erano internamente omogenee o compatte. La sfera dell’impiego femminile e
le dinamiche di genere illuminano come lavoratrici e lavoratori interagissero tra di loro, lavo
rassero fianco a fianco, o subissero le reciproche azioni in un contesto di lavoro vario e fluido.
È importante definire cosa si intenda esattamente con cosmopolitismo, svelare quali disugua
glianze esso sottende e rivelarne il carattere potenzialmente intermittente e disomogeneo.